Bomarzo, oltre il mostruoso: viaggio simbolico nel Bosco Sacro

24.05.2025

C'è chi lo visita per curiosità. Chi lo fotografa per stupore. E poi c'è chi entra nel Bosco Sacro di Bomarzo con un senso di inquietudine dolce, come se varcasse un confine mentale più che fisico. Perché Bomarzo non è un semplice parco di statue "strane" incastonate nel verde. È un labirinto di segni. È l'inconscio scolpito nella pietra.

Oltre la meraviglia visiva

Le famose sculture — l'orco spalancato, il Nettuno, la casa pendente — sono ciò che colpisce lo sguardo. Ma fermarsi all'effetto visivo è come leggere solo la copertina di un libro. Bomarzo è una sequenza di simboli disposti senza un vero ordine, e proprio in questa apparente confusione risiede il suo messaggio: il mondo è incomprensibile, e per affrontarlo servono intuizione, disorientamento, abbandono.

Il giardino come psiche

Commissionato nel Cinquecento da Pier Francesco Orsini, il "Sacro Bosco" non è né rinascimentale né barocco. È un'opera personale, quasi privata. Una "camera oscura" a cielo aperto in cui il committente ha inciso lutti, visioni e interrogativi.

Ogni creatura scolpita — dal drago alla tartaruga con la donna in piedi — può essere letta come un frammento psichico, un'ombra, una maschera. Non ci sono pannelli esplicativi che guidino davvero il visitatore: Bomarzo costringe ognuno a creare il proprio senso, come avviene nei sogni.

Un disordine che salva

Nella cultura dell'ordine, Bomarzo è dissonanza. È un giardino che non tranquillizza, ma spinge a domandarsi. Chi è l'orco che "tutto divora"? Chi guarda chi, tra il visitatore e le statue? E quella casa inclinata, in cui si perde l'equilibrio, non è forse il riflesso della mente stessa quando affronta il dolore?

Chi riesce a stare dentro tutto questo senza cercare una via d'uscita immediata — una foto, una spiegazione, una brochure — può uscire dal parco un po' diverso da come è entrato.

📍 Conclusione del Calamaio

Bomarzo non è una meraviglia per turisti. È un enigma lasciato in eredità. Come ogni opera vera, non ha bisogno di dire tutto: lascia intendere. Il Calamaio vuole raccogliere questi spazi sospesi, dove l'arte non è solo da vedere, ma da interrogare. Perché guardare non basta. Serve anche chiedersi cosa stiamo davvero vedendo.