Il manoscritto nel cassetto – Perché tanti scrittori non pubblicano mai?

Scrivere è un atto intimo. Pubblicare è un'esposizione. Tra queste due fasi si apre un abisso dove molti scrittori si fermano. Hanno scritto, riletto, forse anche corretto più volte. Eppure, il manoscritto resta lì: in un cassetto, su una chiavetta USB, in una cartella dal nome vago. Perché?
✍️ Paura, perfezionismo, solitudine
I motivi sono molteplici, ma quasi sempre riconducibili a tre grandi blocchi:
-
Il perfezionismo paralizzante: nessun testo sembra mai davvero "pronto". Chi scrive si convince che manchi qualcosa, che si possa fare meglio. È la trappola dell'attesa infinita.
-
La paura del giudizio: pubblicare significa esporsi. Il timore di essere fraintesi, ignorati o criticati spesso prevale sul desiderio di condividere.
-
L'isolamento creativo: molti scrittori lavorano in solitudine e non hanno un confronto reale con altri autori, editor o lettori. Questo isolamento può alimentare l'insicurezza e il blocco.
📚 Una questione culturale
In Italia, l'idea dello scrittore "vero" è ancora legata a un'aura mitica e irraggiungibile. Chi scrive per passione si autocensura, convinto di non avere abbastanza "titoli". In realtà, molte opere importanti della nostra letteratura sono nate da scrittori non professionisti, spesso pubblicate postume.
Pensiamo a Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, pubblicato solo dopo la sua morte, o agli scritti di Emily Dickinson, che non cercò mai un pubblico durante la sua vita. Il manoscritto nel cassetto è parte della storia letteraria.
🔓 Riaprire il cassetto
Oggi esistono strumenti, percorsi e comunità che aiutano chi scrive a compiere il passo successivo. Ma la chiave, prima di tutto, è culturale: riconoscere valore alla scrittura anche prima del successo editoriale. Perché un testo non è meno importante solo perché non è ancora stato pubblicato.