Il mare come simbolo culturale

02.06.2025

Il mare è da sempre più di un semplice scenario. È spazio mentale, simbolo arcaico, elemento primordiale. Non sorprende che la letteratura, la mitologia, il cinema e persino la pubblicità ne abbiano fatto un'immagine ricorrente, evocativa e ambigua: il mare è culla e abisso, libertà e pericolo, promessa e minaccia.

Il mare come inizio

Sin dalle origini, il mare è stato matrice mitica. Nella cosmogonia greca, tutto ha inizio dall'oceano primordiale. Ed è da lì che partono i grandi viaggi: basti pensare all'Odissea, dove il mare è insieme ostacolo e strumento. Non è solo lo spazio tra due terre: è ciò che trasforma l'uomo. L'eroe non torna mai uguale da un viaggio in mare.

Il mare e la perdita

Il mare è anche luogo di smarrimento. In tanti romanzi moderni (da Moby Dick a Il vecchio e il mare), la vastità marina diventa lo specchio dell'ignoto. In acqua ci si perde, si combatte, si scompare. Il mare cancella le tracce, accoglie i naufragi, divora ciò che non può essere controllato.
Ed è anche così che entra nella memoria collettiva: come luogo in cui spariscono i migranti, i pescatori, i figli. Come orizzonte della mancanza.

Il mare e la rinascita

Ma il mare è anche rigenerazione. Nei romanzi di Baricco, ad esempio, il mare è spesso una soglia magica, una frontiera tra ciò che si conosce e ciò che potrebbe accadere. In Oceano Mare, le onde sono parola e silenzio insieme.
Il mare è dove si va a ritrovare sé stessi, a sciogliere il dolore, a cambiare pelle. La sua vastità permette di lasciare andare. Di dimenticare. Di ricominciare.

Il mare nell'immaginario contemporaneo

Oggi il mare è spesso svuotato di senso: ridotto a sfondo per selfie, o a meta turistica stagionale. Ma non ha perso il suo potere. Anche nell'estetica contemporanea – da Instagram alla narrativa young adult – il mare continua a funzionare come simbolo di transizione, introspezione, sospensione.
È lo sfondo perfetto per ciò che non si può dire. E per questo resta eterno.

🎯 Conclusione
Il mare non è solo ciò che guardiamo: è ciò che ci guarda.
È l'unico paesaggio che cambia ogni giorno eppure resta sempre lo stesso. Nei suoi vuoti, nei suoi ritorni, ci lascia intuire una verità che la terraferma nasconde: che esiste qualcosa più grande, mutevole e misterioso di noi.
Il Calamaio cerca questi sguardi, che non si fermano alla superficie. Perché ogni onda che torna è un pensiero che insiste. E ogni orizzonte marino è un invito a domandarsi dove siamo davvero.