Il racconto di Dio

20.05.2025

🪞 Stanza n°7

(Dio si fa un giro nel quartiere)

Erano giorni che si diceva che nel quartiere girasse una macchina sospetta. Un attentatore forse, ma chi veniva ad attentare la vita di disperati come noi? Le bombe, se ci vedevano, sarebbero implose da sole per pietà.

Allora l'ipotesi più accreditata era che potesse essere un maniaco. Io ascoltavo questi discorsi dal finestrino del mio cesso, perché le pettegole parlavano dai loro balconi. Dal mio seminterrato, dagli infissi divelti, non potevo fare altro che ascoltarle contro la mia volontà. Fosse stato per me, il maniaco poteva pure portarsele tutte, ma guardandole non ne avrebbe avuto mai il coraggio. Tutte così trasandate per la fatica di inventarsi da vivere. Qualcuna, ancora giovane, già con molti denti mancanti per aver allattato troppi figli.

Allora andavo al cesso e le sentivo parlare, e poi uscivo per strada e guardavo i capannelli di gente che discutevano, ma l'auto sospetta ancora non l'avevo vista. Finché un giorno, mentre uscivo per andare dal tabaccaio a chiedere se mi facesse credito, vidi spuntare dal fondo del vicolo una macchina bianca che mi si avvicinava leggera, senza rumore di motore, quasi scivolasse sull'asfalto. Come fosse godibile una vita senza attriti, pensai.

La carrozzeria era di un candore mai visto: non era la freccia del lavaggio, né la cera. Era simile a una nuvola che mi si parò di fianco.

— Scusi lei… — mi disse un tipo barbuto con i capelli lunghi e bianchi come la macchina, ben pasciuto, con due belle gote piene di sostanza.
— È questo il quartiere del Salice?
— Così dicono — risposi.
Aveva un sorriso di carta leggera stampato in faccia. Era una beatitudine guardarlo.

"Scusi, è lei il maniaco?" avrei voluto chiedergli. Ma così diventavo un pettegolo anch'io. Quando gli diedi la risposta, si guardò intorno stupefatto. Il sorriso cominciò a spegnersi, come una lampadina a fine vita.

Attorno, solo rovine: carcasse di auto incendiate, infissi gettati come pattumiera, piastrelle rotte, cani scheletrici e bambini coi vestiti neri sopravvissuti alla guerra quotidiana. E io, sdrucito ma relativamente pulito.

— E lei dove va? Cosa fa? — mi chiese.
— Scusi, ma è nuovo della polizia? —
— Io sono il capo di tutto.
— Della polizia o un boss?
— Io sono capo della polizia… e di tutti i boss.
— Ah, capisco. Il presidente!
— Io sono il capo di tutti i presidenti.

Lo fissai. Questo era matto. O peggio: il maniaco.
— Ok, ok amico, ti saluto.
— Perché tanta fretta, figliolo? La vita si assapora piano piano…

Pensai: questo è un frocio del cazzo. Un maniaco degli uomini. Gli guardai la mano, candida e morbida. Una mano da ricco. Era un politico, pensai.

— Cosa fai? —
— Sono una specie di scrittore umoristico, ma fallito in partenza. La gente non è ironica.
— Oh oh! — rise. Una risata familiare, tipo Babbo Natale.
— Sì, Babbo Natale l'ho creato io — disse, leggendomi nel pensiero.
— E non pensare di mandarmi all'inferno: con me non è proprio il caso.
— Ehi amico, sei un mentalista?

Scoppiai a ridere.
— David Copperfield è solo un mio imitatore — disse.
— Come ti chiami, amico?
— Dio.
— Sì, tu, ma il nome?
— Io sono Dio.
— E io sono Mosè — risposi.

Ma lui continuava. Era il più grande.
— Tutti possiamo essere grandi, se solo ci dessero l'opportunità — dissi.
— Forse non hai capito, amico. Io sono il capo di tutti — si scaldò.

Feci incazzare Dio. Nella mia vita facevo incazzare chiunque, bastava che scrivessi due righe.
— Ok ok, amico. Non ti scaldare.
— Io sono Dio, cazzo!

A quel "cazzo", capii. Quel Dio aveva qualcosa degli uomini, anche l'incazzatura.

— Se sei Dio, fammi un miracolo.
— Nessuno può mettermi alla prova. Nemmeno il diavolo.
— Ok, ma qui il diavolo scapperebbe. Io invece resto.

Alzò la mano. Tutto si trasformò. Prati verdi, macchine verniciate di fresco, bambini puliti, io vestito bene e profumato, con soldi in tasca.

— Wow…
— Ti piace?
— Certo!
E in un attimo, fece sparire tutto. Tornò la merda di prima.

Stavo per bestemmiare, ma mi precedette lui.
— Lo so a cosa stai pensando. Ma tutto ha un disegno.
— Sa anche disegnare, pensai.
— Se dessi tutto a tutti, chi resterebbe povero? Chi popolerebbe il Paradiso?

— Fai solo un ricco in più, almeno me.
— Tu sei un mio disegno — rispose.
— Brutto figlio di una vergine — sibilai.

— Vai Gabriele — ordinò all'autista immacolato, che sgommò via.
— Vai Gabriele, qui non capiscono i misteri divini.
— Brutto figlio…

E da allora, nemmeno più le pettegole del rione trovarono un argomento diverso.
E tutto tornò come prima.
In questa fogna di città, non cambia mai niente.

Krevigoskji 

Racconto tratto dalla raccolta Operai pazzi, edita da Ortica Editrice