Luoghi dimenticati: scrivere dentro l’abbandono urbano

09.05.2025

Ci sono luoghi che non finiscono sulle mappe, ma resistono nei margini della memoria collettiva.
Ex ospedali, industrie dismesse, teatri chiusi da anni, scuole svuotate dalle voci.
Luoghi in cui la città non abita più — ma che non smettono di parlare.
Per chi scrive, questi spazi non sono solo sfondi: sono interlocutori.

Scrivere nell'abbandono urbano non è solo una scelta estetica: è un'esperienza esistenziale, che obbliga a confrontarsi con il tempo, il vuoto e la storia.
È osservare ciò che è rimasto quando tutti se ne sono andati, e chiedersi: cosa è successo qui? Chi c'era prima? Cosa è stato dimenticato?

✒️ Un vuoto che genera voce

L'abbandono urbano ha una sua grammatica:
le crepe, le infiltrazioni, gli oggetti lasciati a metà, i manifesti strappati, la polvere che cambia colore.
Sono elementi che non descrivono solo lo spazio, ma suggeriscono un tempo fuori dal tempo, quasi sospeso.

Lo scrittore può usare questo vuoto come pagina bianca.
Ma una pagina che respira, che conserva impronte e silenzi.
È qui che nasce una letteratura diversa, fatta più di assenze che di azioni, più di tracce che di trame.

🏚️ Roma tra vuoti e memoria

Roma — città dei fasti — è anche città degli scarti.
Tra i monumenti restaurati convivono fabbriche abbandonate, conventi svuotati, edifici scolastici trasformati in macerie.

Uno dei luoghi simbolo è Santa Maria della Pietà, ex manicomio tra i più grandi d'Europa, oggi parzialmente chiuso e dimenticato.
Ma anche l'ex Fiera di Roma, l'ex Mattatoio di Testaccio (oggi in parte riqualificato), o gli spazi industriali alla Magliana e a Tor Sapienza.

Per chi scrive, questi luoghi offrono personaggi muti, spettri narrativi, o semplicemente un'atmosfera.
E a volte basta poco: un cancello aperto, una finestra sfondabile con lo sguardo, un oggetto sopravvissuto al tempo.

✍️ Letteratura come archeologia emotiva

Ci sono scrittori che lavorano sulle rovine urbane come gli archeologi:
non per ricostruire, ma per restare in ascolto.

In certi racconti — pensiamo alla narrativa di Daniele Del Giudice, a La casa degli sguardi di Mencarelli, o anche a certa poesia urbana contemporanea — l'abbandono diventa spazio simbolico, dove la scrittura si misura con la perdita e con la possibilità di rigenerazione.

Scrivere in un luogo abbandonato non è solo ambientare.
È scavare nella possibilità che ciò che è stato lasciato sia ancora vivo, ma invisibile.
È trasformare il degrado in narrazione, l'oblio in presenza.

🗝️ Restituire senso

In un'epoca in cui tutto tende all'efficienza, scrivere dove tutto è fermo è un atto controcorrente.
Un gesto silenzioso che dice: "Anche qui c'è ancora qualcosa da dire."

E forse proprio da questi luoghi — nascosti, cadenti, respinti — può partire una nuova parola, meno urlata, ma più necessaria.