Quando la violenza è in casa: cosa ci stanno dicendo tutti questi omicidi?

Ancora un omicidio. Stavolta a Fregene.
Una donna accoltellata, in casa. A essere accusata è la nuora. Una storia familiare, silenziosa, come tante. Fino a quando esplode. Come tante.
La cronaca di questi giorni non fa che aggiungere un altro nome a una lista che sembra non voler finire. La cosa più inquietante è proprio questa: non ci stupiamo più. Ne parliamo a tavola, magari con un mezzo sbuffo, e passiamo alla notizia successiva.
Ma qui non c'è nulla di normale. Né nel fatto, né nella nostra assuefazione.
Non c'è una sola categoria che tenga insieme questi omicidi. Uomini che uccidono mogli, donne che uccidono parenti, ragazzi che accoltellano amici. Il filo comune non è il genere. È il contesto.
Il contesto è la casa.
Il contesto è la relazione.
Il contesto è che la rabbia oggi sembra un diritto.
Viviamo in una società dove la violenza ha smesso di essere un'eccezione. È diventata un linguaggio.
Perché? Perché siamo cresciuti in mezzo a frasi come:
– "Me l'ha fatto apposta."
– "A tutto c'è un limite."
– "Uno poi scoppia."
E invece no.
Uno non scoppia, uno sceglie.
E se uno sceglie la violenza, non è colpa del sistema nervoso. È colpa del sistema culturale.
🧠 Conclusione culturale
La cronaca, da sola, non ci dice nulla.
Ma se impariamo a leggerla come si legge un romanzo – cioè non solo per sapere che cosa succede, ma per capire perché succede – allora sì, diventa utile.
Ogni omicidio è una crepa. Ma è nella somma delle crepe che capiamo quanto fragile è il muro.
E il muro oggi è fragile ovunque: nella scuola, nella famiglia, nei rapporti, nei legami sociali.
La vera domanda non è "chi ha ucciso".
La vera domanda è: quando abbiamo smesso di vederci davvero?
Il Calamaio vuole essere questo: un punto di vista che non si limita a raccontare. Ma che prova a capire, anche quando fa male.