Roma apre le porte a Mutu: un’arte che interroga la memoria

Dal 10 giugno al 14 settembre, la Galleria Borghese ospita "Poemi della terra nera", la prima mostra personale in Italia della keniota-americana Wangechi Mutu, curata da Cloé Perrone. È la prima volta che una donna vivente inaugura uno spazio così iconico, conferendo all'evento un valore storico e simbolico profondo.
🌍 Ibridi sospesi tra passato e postcolonialità
Le sue opere – sculture in bronzo, installazioni, collage e video – emergono come creature ancestrali. Mescolano mitologia africana e classicismo romano, materiali umili (caffè, tè, terra) e tecniche all'avanguardia per narrare un'alterità che risuona nel cuore del Palazzo Borghese .
Murales: le figure rimangono volutamente parziali, sospese sotto i soffitti, come se respirassero nel vuoto tra il presente e il passato .
⚖️ Politica del silenzio e del nascondimento
Mutu lavora sul confine tra visibile e invisibile: molte sculture restano volutamente nascoste, appena percepibili. È un invito a cercare, a cogliere l'invisibile che l'istituzione preferisce ignorare .
La "terra nera" – richiamata nel titolo – diventa simbolo di resurrezione: materia fertile e oscura, nutritiva ma oscura, capace di generare nuove narrazioni che si intrecciano con la storia coloniale, la migrazione, l'identità femminile.
🌱 Metamorfosi e memoria condivisa
Nel Giardino Segreto, alcune sculture sembrano emergere dal terreno, quasi fossero animali mitici o spiriti della terra. Nei chiostri e lungo la facciata, cariatidi di bronzo femminili guardano Roma, incarnando l'idea che c'è Africa in Roma e Roma in Africa, come Mutu stessa ricorda.
✨ Perché conta (anche per il Calamaio)
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Rovescia il passato nella sua sede più classica: un dialogo tra chi ha sempre narrato la storia (la Borghese) e chi la riscrive (Mutu).
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Problematiche attuali come razzismo, femminismo, decolonialità emergono delicate, sottili, ostinate.
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Lo spazio non è neutro: le sue stanze, i suoi corridoi e giardini diventano pulsanti, viventi, specchi del presente.
🔚 Conclusione
Mutu non entra nella Galleria Borghese: la ricostruisce dall'interno, ne decostruisce i fascini, ne solleva i silenzi. Ci chiede di camminare attenti, di guardare tra le pareti e sotto i piedi. Di non accontentarci del già visto.
È un invito – durissimo e sottile insieme – a ritessere storie negate, a fare spazio all'"altro" che abita già i luoghi che pensavamo fossero nostri.